La Turchia minaccia di avviare nuove operazioni nel nord della Siria

Il 4 agosto 2019, prima di un incontro con una delegazione americana, il presidente turco RT Erdogan ha annunciato che stava valutando la possibilità di una nuova operazione militare condotta contro le YPG curde nel nord della Siria, suscitando un’ondata di preoccupazione tra le forze della coalizione presenti nell’area, in particolare americane. Un’offensiva del genere, infatti, danneggerebbe notevolmente gli sforzi volti ad eliminare gli ultimi bastioni dello Stato Islamico ancora presenti nel Paese, e potrebbe portare alla liberazione di oltre 10.000 prigionieri catturati dalle forze curde, che molto probabilmente si unirebbero al movimento terroristico. appena rilasciato.

La decisione turca si basa sui forti legami tra i Peshmerga siriani dell'YPG e il movimento indipendentista curdo PKK, considerato terrorista da Ankara come dalla maggior parte delle capitali occidentali. Le autorità turche avevano accettato di delegare a Washington la soluzione del problema creando una zona "cuscinetto", ma di fronte alla mancanza di risultati dopo quasi sei mesi di negoziati, ora minacciano di intervenire direttamente per "garantire la sicurezza". il confine con la Siria.

Allo stesso tempo, ilIl 18° rapporto dell'Ispettorato generale del Pentagono sull'operazione Inherent Resolve, presenta una situazione lungi dall'essere stabilizzata in Siria come in Iraq, destabilizzazione accentuata, secondo il rapporto, dal ritiro delle forze statunitensi. Pertanto, lo Stato Islamico, lungi dall’essere eliminato, si è evoluto verso tattiche di guerriglia, aumentando i rapimenti, il racket e gli omicidi, per mantenere i suoi mezzi. Un afflusso di combattenti dalle carceri curde potrebbe rapidamente creare un’ondata di potere sufficiente a invertire la tendenza attuale. Inoltre, il rapporto sottolinea l'accentuarsi delle tensioni tra i diversi attori del conflitto, fino ad ora più o meno alleati, e che ora si trovano coinvolti in crescenti antagonismi. Viene particolarmente sottolineato il ruolo dell’Iran, le cui forze agiscono sempre più apertamente verso i propri obiettivi e programmi, talvolta a scapito dei loro “alleati”.

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Il rilascio di 10.000 combattenti dell’Isis dalle carceri curde potrebbe fungere da detonatore nella regione

Il rapporto evidenzia in particolare il fatto che lo Stato islamico è riapparso molto rapidamente quando è diminuito il sostegno americano alle forze irachene e siriane libere. Rimangono infatti oggi tra i 15.000 e i 18.000 membri dello Stato Islamico in Iraq e in Siria, tra cui molti combattenti, in posizione di guerriglia, pronti a sfruttare le debolezze osservate dei loro avversari. Allo stesso tempo, il ritiro degli Stati Uniti da alcune regioni irachene sembra essere accompagnato da un rapido fallimento dei servizi pubblici di base, sia per l’ottenimento dei documenti d’identità che per le missioni di polizia.

In queste condizioni, un’offensiva turca potrebbe fungere da detonatore per incendiare nuovamente la regione, con le conseguenze che conosciamo, in particolare sul terrorismo internazionale, ma anche sul movimento dei rifugiati verso l’Europa. Ankara ne è ovviamente perfettamente consapevole, e la minaccia di intervento nel nord della Siria potrebbe essere soprattutto un argomento volto ad avviare una certa forma di normalizzazione dei rapporti del Paese con gli Stati Uniti e i paesi dell'Unione Europea, dopo le tensioni che circondava l'acquisizione di S400 e quelli intorno sfruttamento delle riserve di gas cipriote. Non sorprenderebbe vedere, nelle prossime settimane, un'inversione di tendenza nella situazione in meritoembargo sulla vendita degli F35 all'aeronautica turca, o la negoziazione di un memorandum sullo sfruttamento del gas nel Mediterraneo orientale, contro la limitazione delle iniziative militari nel nord della Siria.

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