Quella che fino ad ora era solo un'ipotesi supportata, ora ha assunto il valore di un progetto a lungo termine. Infatti, Mark Esper, il Segretario alla Difesa americano, ha spiegato ieri durante un discorso, il formato di previsione della Marina americana negli anni 25 venire Come detto in precedenza, l’obiettivo sarà quello di raggiungere, entro il 2045, un formato di 500 navi da combattimento rispettando l’obiettivo di 355 edifici nel 2030, al fine di contenere l’ascesa del potere cinese. Ma lungi dall’essere una semplice estensione omotetica del formato attuale, questo nuovo formato, in gran parte limitato dal suo budget e dal suo volume umano, porta anche un profondo sconvolgimento nell’architettura della Marina americana negli anni a venire.
Cominciamo elencando i punti dettagliati da Mark Esper nel suo discorso:
- Tra 70 e 80 sottomarini d'attacco (52 oggi)
- Da 8 a 11 super portaerei (11 oggi)
- fino a 6 portaerei leggere (0 oggi)
- Da 140 a 240 navi di superficie autonome o semi-autonome e sottomarini robotici (0 oggi)
- Da 70 a 90 navi logistiche di tutti i tipi (50 oggi)
- Da 60 a 70 navi da combattimento più piccole (24/35 oggi)
- Rafforzamento della flotta di droni aerei per missioni di caccia, rifornimento in volo, sorveglianza aerea avanzata, guerra elettronica (e probabilmente pattugliamento marittimo)
D'altra parte, non si trattava dell'evoluzione della flotta di grandi navi da combattimento (incrociatori, cacciatorpediniere, fregate pesanti) né della flotta d'assalto.
Come si vede, la Marina americana vuole soprattutto rafforzare la componente sottomarina d’attacco per contenere la potenza militare cinese ed eventualmente russa. Ed era prevedibile. In effeti, I sottomarini d'attacco nucleari americani sono entrambi molto efficienti, ben oltre le loro controparti cinesi e persino russe, molto discreti, capaci di un'ampia gamma di missioni offensive, difensive e di intelligence e relativamente leggeri in termini di personale, l'equipaggio di un SNA di classe Virginia è quasi 3 volte più piccolo di quello di un Arleigh Burke distruttore di classe.
Tuttavia, come ha chiarito Mark Esper nel suo discorso, la Marina americana non ha intenzione di fare a meno delle sue super portaerei, che restano, secondo il Segretario alla Difesa, il cuore della futura potenza navale americana. D'altra parte, e come abbiamo discusso più volte, sembra che il il numero totale di super portaerei sarà ridotto, a beneficio di poche portaerei leggere che sarebbe basato su LHA di classe America, privo di catapulte e di dispositivi di arresto, e che utilizzerebbe una flotta di velivoli F35B a decollo corto e verticale, la cui funzione sarebbe quella di intervenire in caso di presenza di un Portaerei di classe Ford non è richiesto. Una notizia che, tra l'altro, probabilmente rassicurerà i clienti dei velivoli americani, dopo l'annuncio della probabile riduzione della flotta del Corpo dei Marines.
Il cuore dell’evoluzione della Marina americana risiederà nell’implementazione di una grande flotta di navi di superficie e sottomarini da combattimento completamente robotici, con o senza equipaggio. L'obiettivo è naturalmente quello di aumentare il numero delle navi senza dover aumentare il numero dei marinai, e quindi contenere questa crescita all'interno di un budget costante o leggermente variabile. È vero che le navi robotiche, come i droni aerei, presentano molti vantaggi, primo fra tutti quello di non dipendere dalla presenza di un equipaggio, risparmiando molto spazio sulla nave, e di non dover tenere in considerazione le questioni umane, come il cibo, la distanza familiare, la promiscuità a bordo, ecc.
D’altro canto, per molti marinai esperti, l’ipotesi di implementare a lungo termine navi completamente autonome in alto mare è più una fantasia tecnologica che una realtà. Ancora oggi, infatti, la guida di una nave in mare richiede un grande intervento umano, una parte significativa del quale consiste nella riparazione di malfunzionamenti o incidenti a bordo. Tuttavia, se è possibile deportare il controllo della missione, i sensori ed eventuali sistemi d'arma in un centro terrestre, le riparazioni dei numerosi guasti che non mancano su un sistema complesso come una nave da combattimento, non possono essere automatizzate.
E laddove un drone aereo effettua missioni della durata di diverse decine di ore consentendo manutenzioni e riparazioni regolari, una nave in mare per diverse decine di giorni, o anche per diversi mesi, non potrà rientrare in porto al minimo danno, a meno di alterare considerevolmente la situazione. nozione stessa di potenza navale prevista. Immaginiamo quindi che queste navi automatizzate dovranno operare solo come parte di uno schieramento attorno a una nave principale, in grado, se necessario, di inviare personale per svolgere le missioni di manutenzione richieste. In questo caso, le navi di superficie e i sottomarini robotizzati agirebbero come estensioni remote della nave principale Fedeli Wingmen combattono i droni ou Remote Carrier che accompagnerà gli aerei da combattimento in futuro. È probabilmente in vista di questo dispiegamento di navi autonome che verrà rafforzata la flotta logistica della US Navy, il cui ruolo diventerà sempre più decisivo alla luce degli sviluppi geopolitici, e in particolare crescenti rischi di conflitto nell’Oceano Pacifico occidentale e nell’Oceano Indiano, a grande distanza dalle basi navali statunitensi.
Infine, l’aumento del numero delle navi da combattimento di superficie “più piccole” (“smaller Surface Combatant” nel testo) corrisponde sicuramente all’emergere di una nuova classe di fregate leggere o corvette pesanti, navi di circa 4000 tonnellate destinate alla difesa anti-nave. -guerra sottomarina, scorta e densificazione della presenza navale americana negli oceani, nello spirito di ciò che erano le fregate classe Knox e OH Perry negli anni '70 e '80. Questo tipo di nave, più leggera, più manovrabile e discreta dei cacciatorpediniere, costituisce eccellenti piattaforme da combattimento ASW, soprattutto se si tratta di affrontare sottomarini convenzionali noti per essere molto discreti, come il cinese Type 039 o il 636.3 Improved Kilo. Per il momento questa categoria si basa sulle Littoral Combat Ships delle classi Independence e Freedom, ma date le bassissime capacità operative di queste due navi, è probabile che il loro futuro nella Marina americana sarà presto stroncato.
Non possiamo non notare che l’elenco fornito da Mark Esper non descrive in dettaglio il formato delle grandi unità combattenti di superficie, che costituiscono tuttavia il cuore di una moderna potenza navale. Se utilizziamo i valori medi per tutte le categorie affrontate dal Segretario della Difesa americano, deduciamo che la flotta di incrociatori, cacciatorpediniere e fregate della marina statunitense si ridurrà a 70 unità, appena il 14% della flotta, rispetto a 87 oggi. Inoltre, 20 di queste navi lo saranno fregate pesanti dal programma FFG / X, che limiterà il numero di cacciatorpediniere e incrociatori a sole 50 unità, un calo di oltre il 40% rispetto al formato attuale. Considerando che occorrerà 1 incrociatore antiaereo per ogni grande unità navale (portaerei e portaerei leggere), possiamo immaginare una flotta composta da 16 incrociatori, 34 cacciatorpediniere e 20 fregate pesanti, che potrebbero benissimo essere riclassificate come cacciatorpediniere del futuro, per consentire ai caccia di superficie più piccoli di essere classificati come fregate.
Da questo nuovo formato emerge che dovrebbe effettivamente consentire di aumentare significativamente la potenza navale della Marina americana negli anni a venire, senza che sia necessario aumentare il personale o ridurre il personale in termini di unità combattenti di superficie e aerei vettori sufficienti a compensare il fabbisogno umano dei nuovi sottomarini, navi logistiche, fregate e portaerei leggere che entreranno in servizio. D’altro canto, sembra difficile riuscire in questo esercizio con un budget costante, anche cercando tutte le riserve di bilancio come previsto da Mark Esper. Oltre a forti vincoli di bilancio, questo formato richiederà anche notevoli progressi tecnologici, in particolare in termini di automazione. A questi vincoli si aggiungeranno pressioni industriali e politiche, in particolare da parte dei cantieri specializzati in grandi unità navali e degli stati che li ospitano, che potrebbero vedere ridursi i loro ordini.
Comprendiamo che questo annuncio di Mark Esper serva tanto a dare sostanza ai necessari sviluppi nella Marina americana, poche settimane prima delle elezioni presidenziali, quanto a misurare la temperatura delle reazioni che una tale implementazione potrebbe generare. Comprendiamo quindi perché gli intervalli presentati sono così importanti, consentendo così di spostare i cursori per trovare l'equilibrio di bilancio e politico quando necessario. In particolare, la minaccia implicita alle grandi unità di superficie e alla flotta delle superportaerei potrà dar luogo a sviluppi a patto che i bilanci seguano, in modo da rispettare contemporaneamente l’obiettivo di 500 navi da combattimento, e gli obiettivi politici ed economici cari ai membri delle Congresso. Per il momento, né il presidente Trump né il candidato Biden intendono aumentare i crediti per la difesa americana. Ponendo le alternative in maniera quantificata, Mark Esper spera probabilmente di forzare il destino e ottenere le estensioni necessarie per tenere testa alla nascente potenza navale cinese.