Da quasi trent'anni, e con la grande concentrazione del 1994, l'industria della difesa americana regna sul mercato mondiale degli armamenti, controllando il 40% del fatturato annuo.
Le sole 10 maggiori società di difesa americane hanno registrato, nel 2023, un fatturato che supera i 250 miliardi di dollari, o il PIL di paesi come il Portogallo o la Finlandia, una parte significativa del quale proviene dagli alleati degli Stati Uniti, in particolare in Europa e nel Pacifico.
Nonostante questo mercato considerevole e una posizione dominante innegabile, i programmi di armamento americani continuano a occupare i titoli della stampa d’oltre Atlantico, a causa di scadenze non rispettate, costi eccessivi fuori controllo e perfino di clamorosi fallimenti, che arrivano fino ad handicappare, da ora, la modernizzazione degli eserciti americani, in un contesto internazionale molto teso.
Si pone allora la questione delle cause all’origine di questi ripetuti ostacoli, e di sapere se non siano l’abbondanza di crediti e la mancanza di controllo delle istituzioni americane su questa industria, divenuta troppo potente per essere contestata, a indurre questo patologia pericolosa, che potrebbe diffondersi in tutto il campo occidentale.
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2000 miliardi di dollari per i 100 maggiori programmi del Pentagono
C'è da dire che le cifre citate bastano a far girare la testa. Così, nel suo rapporto annuale sull'industria della difesa americana presentato all'inizio della settimana, il GAO, ovvero Government Accountability Office, l'equivalente americano della Corte dei conti francese, traccia un inventario particolarmente preoccupante.
In effetti, la stragrande maggioranza dei 100 principali programmi industriali e tecnologici intrapresi oggi dal Pentagono soffrono di scadenze non rispettate, superamenti cronici e, talvolta, minacce di fallimento, anche per i più avanzati.
Tuttavia, questi programmi, che riguardano sia la deterrenza con il bombardiere B-21, il sottomarino missilistico balistico nucleare di classe Columbia e i missili Sentinel ICBM, sia i domini convenzionali con le portaerei di classe Ford, il caccia NGAD o l'alto FLRAA -programma di elicotteri di manovra ad alte prestazioni, impegnare più di 2000 miliardi di dollari in crediti americani, negli anni a venire.
Il fatto è che il Pentagono spende, ogni anno, in media, più di 200 miliardi di dollari con l’industria della difesa americana. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei sistemi d'arma attualmente in servizio nei suoi eserciti rimangono ereditati da equipaggiamenti progettati durante la Guerra Fredda, come il carro armato Abrams, il Bradley IFV e l'M109 Paladin, per l'esercito americano, il B-2, l'F- 15, F-16 e C-17 dell'aeronautica americana, oppure le portaerei Nimitz, i cacciatorpediniere Arleigh Burke, l'LHD Wasp e i sottomarini nucleari Los Angeles e Ohio, per la Marina americana.
E per una buona ragione, il Pentagono ha consumato, negli ultimi vent’anni, diverse centinaia di miliardi di dollari, in programmi sterili, non avendo prodotto nessuna, o molto poco, delle capacità di rinnovamento delle attrezzature in servizio richieste, come l’elicottero della RH -66 e il GCV IFV dell'esercito americano, o i programmi CG(x), Zumwalt e LCS della marina americana.
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Non ho l'impressione che gli europei siano caduti nella pigrizia. Tutti i gruppi europei hanno fame. Nessuno stato è abbastanza ricco da garantire bilanci ai massimi livelli nel mondo. Nessun ingegnere può contare su garanzie. Ha i suoi svantaggi ma anche i suoi vantaggi. Puntiamo al programma che verrà sicuramente esportato nel breve periodo. C'è meno assunzione di rischi. Puntiamo però al vantaggio intelligente che può fare la differenza. Insomma, abbiamo fame. Sì, serve il nuovo riferimento, soprattutto quello che rischiamo di affrontare sul campo di battaglia e non nei salotti.