La Turchia minaccia di chiudere le sue basi aeree NATO in caso di sanzioni

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Mentre il Congresso americano ha appena concesso un'estensione di bilancio di 1 miliardo di dollari all'aeronautica americana per l'acquisto di 10 F35A che dovevano essere consegnati alle forze aeree turche nel 2020, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha chiarito che il suo paese era pronto a chiudere le due basi aeree Nato presenti sul suo territorio, se la Turchia dovesse essere soggetta alle sanzioni americane. Le tensioni tra Stati Uniti, europei e turchi sono ormai molteplici e le dichiarazioni continuano a susseguirsi in un enorme gioco di menzogne ​​diplomatiche.

La posizione di Washington nei confronti di Ankara oggi è tutt’altro che chiara e nemmeno coerente. Da un lato, La Turchia è stata esclusa dal programma F35 come ritorsione per l'acquisizione delle batterie missilistiche antiaeree a lungo raggio S400 dalla Russia, e potrebbe essere soggetto a sanzioni economiche ai sensi dell' Legislazione CAATSA. D’altro canto, il presidente Trump sembra avere una posizione molto meno netta di quella il Congresso americano, o dei suoi alleati europei, sull’operazione effettuata un mese fa nel nord della Siria contro gli alleati curdi delle YPG. Infatti, durante il ultimo vertice NATO, il presidente americano si è fatto portavoce di una linea meno radicale nei confronti della Turchia, anche se il presidente Erdogan ha minacciato di bloccare i meccanismi dell'alleanza riguardanti le misure di rassicurazione in Europa occidentale, orientale e nei Paesi Baltici. Allo stesso tempo, la comunicazione di Ankara, sostenuta da quella di Mosca, ha continuato a distillare una cosa e il suo contrario, passando dai negoziati per l'integrazione degli S400 nella difesa antiaerea della NATO, alla possibilità di rivolgersi a Mosca per acquisire aerei da combattimento e ulteriori sistemi di difesa.

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Il presidente Putin presenta il nuovo aereo da caccia russo Su57 al presidente Erdogan

Quest'ultima “minaccia” delle autorità turche, riguardante le basi di Incirlik e Kurecik, porta però la tensione a un livello ancora più alto. Infatti, la base di Incirlik è una delle 5 basi NATO che ospitano le bombe nucleari B61 assegnate dagli Stati Uniti ad alcuni paesi della NATO secondo il principio della doppia chiave, gli Stati Uniti ne detengono una, il paese ospitante che fornisce anche il vettore ( l'aereo da caccia che trasporta la bomba), avendone un altro, entrambi necessari per armare l'arma. Inoltre, si dice che Incirlik sia la base NATO con il maggior numero di bombe nucleari. Se alcuni rapporti indicano che queste armi sono state trasferite in Bulgaria, la chiusura di queste basi porterebbe senza dubbio a ridefinire l’organizzazione del fianco sud-orientale della NATO, sia nel Mar Nero che nel Mediterraneo orientale.

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Non del resto che Aillace sia privo di opzioni. Potrebbe così spostare le sue forze verso la base aerea di Akrotiri sull'isola di Cipro, che già ospita gli aerei della Royal Air Force. Un simile dispiegamento garantirebbe un accesso alle basi turche paragonabile a quello del teatro mediorientale. Per quanto riguarda l’Egeo e il Mar Nero, potrebbe essere schierato su basi aeree greche, bulgare o rumene. D’altro canto, se la Turchia dovesse lasciare la NATO, il fianco “meridionale” dell’alleanza sarebbe molto indebolito, e l’accesso al Mar Nero sarebbe molto problematico. Sarebbe quindi necessario rafforzare i paesi vicini, Grecia, Bulgaria e Romania, allo stesso modo in cui si rafforzano oggi i Paesi baltici, in modo da neutralizzare un possibile spostamento nell'alleanza di Ankara.

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Il presidente Erdogan durante il suo incontro con V.Putin a Sochi e H.Rouani

Resta il fatto che, per il momento, l'indecisione del presidente Trump sulla questione Ankara non aiuta certo a calmare gli animi, né a trovare una via d'uscita dall'alto, se possibile. Questo silenzio fondamentale è lo stesso che seguì alla prima consegna dei missili S400 alle forze turche. Ma bisogna riconoscere che oggi qualsiasi annuncio sotto forma di minaccia o di ultimatum avrebbe senza il minimo dubbio alcun effetto, come ha fatto più volte il presidente americano senza dar seguito. Come Kim Jong Un, il leader nordcoreano, Xi Jinping, il presidente cinese, o Vladimir Putin, RT Erdogan lo ha capito il presidente americano ha minacciato molto, ma ha agito molto meno. Basterebbe, quindi, restare fermi di fronte alle minacce, pur lasciando andare qualche briciolo di speranza, per neutralizzare l’azione americana e, con essa, quella dell’intero Occidente. Una situazione che ricorda quella precedente la Seconda Guerra Mondiale, quando né la Francia, né la Gran Bretagna, né gli Stati Uniti presero decisioni ferme per contenere la Germania, l’Italia o il Giappone.

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